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rugby roma

Una meta per
crescere

Il progetto ha come caratteristica principale quella di permettere l’integrazione di bambini con sindrome di Down nel mondo del rugby. Questo è possibile grazie al lavoro di rete sviluppato intorno alla persona con sindrome di Down e alla sua famiglia da parte degli operatori dell’AIPD – Roma e di allenatori e tecnici dell’Unione Rugby Capitolina e dell’Arvalia Villa Pamphili.

Perché il rugby

La pratica del rugby ha caratteristiche che tendono allo sviluppo dei rapporti interpersonali, al riconoscimento e rispetto dell’altro, alla condivisione dell’obiettivo con i compagni della squadra. Disciplina, rigore, altruismo sono gli insegnamenti di questo sport; ritenuto dai più solo un’attività sportiva violenta, esso è sì uno sport di contatto, ma ha la caratteristica di insegnare come e quali contatti praticare nel campo sportivo.
Questo sport, oltre le doti, si basa su precise caratteristiche educative, quali la generosità, lo spirito di sacrificio ma soprattutto la fiducia in se stessi.
Il gioco è completo perché coinvolge il corpo e lo spirito: è uno sport di squadra e insegna non solo la destrezza finalizzata a superare l’avversario, ma anche la cooperazione di gruppo, la collaborazione e il rigore dell’azione. Giocando a rugby il bambino ha la possibilità di liberare le energie represse della sua corporalità, si costruisce sul piano sociale, affettivo, cognitivo e motorio.
Attraverso la pratica sportiva si intende offrire un percorso educativo che contempli due aree:

  • acquisire nuove autonomie e aumentare le occasioni di socializzazione nel gruppo dei pari;
  • conoscere e praticare un nuovo sport. Non vi è alcuna selezione all’ingresso del progetto, si richiede soltanto la reale volontà del bambino di fare rugby e l’esclusione di complicazioni mediche (in particolare ci si riferisce al rischio di lassità legamentosa).

Organizzazione

Il progetto è strutturato in tre fasi. Durante la prima il coordinatore, insieme all’operatore di riferimento, incontra la famiglia per un primo colloquio preliminare, nel quale viene spiegato il progetto nel dettaglio e si accerta la volontà di partecipazione da parte della famiglia.
Successivamente il bambino conosce l’operatore di riferimento, che si reca presso la sua abitazione. Riteniamo infatti necessario che si crei un rapporto anche fuori dal campo di gioco, basato sulla fiducia reciproca. L’operatore conosce il bambino in un contesto a lui più familiare e tranquillo e questo agevola e facilita il primo momento di conoscenza.

Questa prima fase ha una durata variabile, a seconda delle caratteristiche del binomio bambino/operatore. Normalmente l’ultimo incontro è dedicato alla visita in un negozio sportivo, per l’acquisto di vestiti per la pratica sportiva. In questa fase al bambino viene presentato il rugby attraverso l’esposizione di oggetti legati a questo sport (la palla ovale, una maglia, ecc) e/o a visione di parti degli allenamenti della futura squadra del bambino.
Creato un legame significativo per il bambino e per la sua famiglia e accertata la volontà di iniziare il progetto, l’operatore invita il bambino al campo per il primo allenamento. In questa occasione al bambino vengono mostrati gli spazi (il campo, gli spogliatoi, la foresteria) e presentati allenatori e compagni di squadra.

In questa seconda fase l’operatore è molto vicino al bambino, lo sostiene in tutte le fase dell’allenamento (spogliatoio, campo, spogliatoio), spiega i vari esercizi e contemporaneamente risponde ai compagni di squadra che spesso chiedono chi sia e cosa faccia l’operatore (“sei il fratello grande di Luca? Sei il suo papà? Cosa ha fatto?). Sin da questa fase è fondamentale che l’operatore delinei le sue competenze e quelle degli allenatori. E’ importante, infatti, che ogni famiglia si senta parte della squadra per tutte le informazioni riguardanti la normale attività sportiva, mentre l’operatore deve essere un riferimento solo per la parte relativa all’integrazione.
Gradualmente l’operatore diventa una figura sempre più periferica, favorendo la creazione dei binomi bambino/allenatore e bambino/compagni di squadra. Per tutte le difficoltà, per gli imprevisti, per ogni emergenza l’operatore rimane a disposizione del bambini, della famiglia e della società.

La terza fase consiste in una presenza “a distanza” nella quale l’operatore, monitorando gli allenamenti ed essendo presente fisicamente sul campo, non interviene nei rapporti che il bambino con sindrome di Down ha con allenatori e compagni di squadra, a meno che non insorga un bisogno improvviso. Successivamente a questa terza fase il bambino con sindrome di Down potrà partecipare agli allenamenti senza il bisogno di un operatore.
La durata di ogni singola fase è assolutamente soggettiva e dipende da molti fattori, interni ed esterni al rapporto bambino/operatore.

Lo staff

Lo staff è composto da un coordinatore, una psicologa ed un numero variabile di operatori. Nelle prime due fasi il rapporto bambino/operatore è di 1:1 e nella terza di 2:1. Lo staff si riunisce minimo una volta al mese, per programmare le attività, affrontare collegialmente le diverse problematiche, per confrontarsi sull’esito degli allenamenti.
Periodicamente lo staff (o anche solo il coordinatore) si incontra con allenatori e dirigenti delle società sportive coinvolte per l’organizzazione dei tornei in città e fuori, ma anche per riflettere insieme sull’andamento del percorso educativo e sportivo dei bambini con sindrome di Down. Ad ogni partecipante al progetto viene proposto di partecipare ad almeno uno o due tornei che si svolgono a Roma e nell’arco di tre anni ad almeno un torneo in un’altra regione, che richiede di passare una notte fuori città. L’opportunità di trascorrere un intero week end con i propri compagni di squadra, e senza la presenza dei genitori, è per i bambini un’opportunità educativa e di crescita estremamente importante.

Lo staff incontra le famiglie in alcuni momenti ben preciso. Ad inizio anno si fa un primo incontro prima di cominciare o ricominciare le attività. Questo primo incontro è individuale. Un altro incontro individuale avviene a metà anno per monitorare l’andamento del progetto. Una riunione conclusiva di gruppo è invece prevista per fare un bilancio generale dell’anno. Oltre a questi momenti programmati lo staff è a disposizione delle famiglie per incontri ulteriori.

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