Pubblichiamo la testimonianza di un genitore in seguito alla Giornata Nazionale della Sindrome di Down del 13 ottobre scorso.
“È venerdì. Ho da poco comprato il mio tablet, una tavoletta bianca di silicio di cui vado entusiasta. Posso farci tutto, perfino scaricare la posta viaggiando in Metro. Ma è proprio attraverso un messaggio di posta che il mio entusiasmo si spegne. C’è un avviso del «mio» presidente che comunica che il Comune di Roma ha sospeso tutti i servizi concordati con l’Aipd Roma. Sono il papà di un bimbo con sindrome di down. È un colpo al cuore. Molti di quei servizi interrotti sono parte integrante del mondo dei nostri ragazzi, sospenderli è togliergli un pezzo di vita. Senza preavviso: è quasi ucciderli. Sono ragazzi che non sanno vivere senza le loro “abitudini”. (E chi di noi sa viverci?). Di più è una stupidità. Non è risparmiando una cifra tanto irrisoria che si risalda il bilancio del comune di Roma. E credo che nessun romano sia d’accordo nel togliere un momento di gioia al figlio (in disagio) di un altro romano. Decisione presa poi tre giorni prima della Festa Nazionale della Sindrome di Down, più che una stupidità sembra una cattiveria. Così monta una rabbia che sfogo scrivendo, mi sento un uomo ferito e abbandonato dalla mia comunità. E sfogliando le pagine di MetroNews trovo anche un indirizzo email a cui spedire il mio sfogo. Bene, tutto inutile penso. Dentro tanto vasta e indifferente informazione, le parole di un papà ferito che possono contare? E invece grazie alla sensibilità di una giornalista, Serena Bournens, la disponibilità dell’amministrazione, della consigliera Erika Battaglia e la prontezza del nostro presidente Celani, qualcosa di buono accade. Un articolo, un incontro, la possibilità di rivedere questa decisione. E poi domenica sperimento nei banchetti la solidarietà di tanti cittadini che si apprestano a scoprire la bontà di un cioccolato fondente, ma per nulla amaro. Sì, c’è grande partecipazione e slancio fra la gente che affolla la piazza del giardino zoologico. Mi riempie il cuore di speranza. E torno capace di sentirmi parte di una grande famiglia, che (per quanto povera) è ancora attenta e capace di gesta di solidarietà. E penso che in questo strano intreccio moderno di tavolette di silicio, di cioccolato e metro di carta e d’acciaio quel che sempre conta è il modo in cui tutto riesca a manifestare le tracce sottili della nostra umanità. Ricordando che è bello e che si può e si deve essere “fratelli” anche in una famiglia di 5 milioni di persone. Perché io ancora credo che per molti di noi questo possa e voglia dire il termine “Comune” messo davanti a “di Roma”. Un ringraziamento di cuore dunque a tutti quei romani che domenica si sono fermati a scambiare qualche parola nei nostri stand, ai giornalisti che ci hanno seguito, all’associazione che si è prodigata affinché tutto accadesse”.
Dario
Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter!