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La sindrome Down

In Italia un bambino ogni 1200 nasce con la sindrome di Down, una condizione genetica che comporta diversi livelli di disabilità cognitiva. Questi bambini sono persone con un alto potenziale e un’importante risorsa per contribuire allo sviluppo e arricchimento della nostra società.
Per questo, da oltre 40 anni, come AIPD-Roma ci impegniamo per fare la differenza.

Domande frequenti

La sindrome di Down è una condizione genetica caratterizzata dalla presenza di un cromosoma in più nelle cellule: invece di 46 cromosomi nel nucleo di ogni cellula ne sono presenti 47, vi è cioè un cromosoma n. 21 in più; da qui anche il termine Trisomia 21. Genetico non vuol dire ereditario, infatti nel 98% dei casi la sindrome di Down non è ereditaria.

Esistono tre tipi di anomalie cromosomiche nella sindrome di Down:

  • Trisomia 21 libera completa (95% dei casi): in tutte le cellule dell’organismo vi sono tre cromosomi 21 invece di due; ciò è dovuto al fatto che durante le meiosi delle cellule germinali la coppia dei 21 non si è disgiunta come avrebbe dovuto.
  • Trisomia 21 libera in mosaicismo (2% dei casi): nell’organismo sono presenti sia cellule normali con 46 cromosomi che cellule con 47 cromosomi.
  • Trisomia 21 da traslocazione (3% dei casi): il cromosoma 21 in più (o meglio una parte di esso, almeno il segmento terminale) è attaccato ad un altro cromosoma di solito il numero 14, 21, o 22.

Le cause che determinano le anomalie cromosomiche non si conoscono, si ritiene che l’insorgenza delle anomalie cromosomiche sia un fenomeno “naturale”, in qualche modo legato alla fisiologia della riproduzione umana, e anche molto frequente. Le anomalie cromosomiche, soprattutto le trisomie, sono un evento abbastanza frequente che interessa circa il 9% di tutti i concepimenti. L’incidenza delle anomalie cromosomiche in generale, e quelle della Trisomia 21 in particolare, è assolutamente costante nelle diverse popolazioni, nel tempo e nello spazio.
Le cause precise che determinano l’insorgenza della sindrome di Down sono ancora sconosciute. Numerose indagini epidemiologiche hanno comunque messo in evidenza che l’incidenza aumenta con l’aumentare dell’età materna.
L’altro fattore di rischio dimostrato è avere avuto un precedente figlio con la sindrome.
Come viene diagnosticata (terzo soffietto) La sindrome di Down può essere diagnosticata anche prima della nascita intorno alla 16a-18a settimana di gestazione con l’amniocentesi (prelievo con una siringa di una piccola quantità del liquido amniotico, che avvolge il feto all’interno dell’utero) o tra la 12a e la 13a settimana con la villocentesi, che viene svolto meno comunemente e che consiste in un prelievo di cellule da cui si svilupperà la placenta, i villi coriali appunto. Queste analisi vengono proposte di solito alle donne considerate a rischio (età superiore ai 37 anni o con un precedente figlio con sindrome di Down) e fatte senza ricovero in alcuni centri particolarmente attrezzati. Sono allo studio nuove tecniche di prelievo, o di cattura, delle cellule fetali nel sangue materno o nella vagina che dovrebbero essere meno invasive e più sicure delle attuali. Il Tri-test è un esame del sangue materno eseguito tra la 15a e la 20a settimana di età gestazionale per dosare tre sostanze particolari (alfa-fetoproteina, estriolo non coniugato e frazione beta dellagonadotropina corionica). L’elaborazione statistica dei livelli ematici di queste tre sostanze, combinata con l’eventualità di sindrome di Down legato all’età della donna, fornisce una risposta che indica la stima della probabilità che il feto abbia una Trisomia 21 oppure no. Per questo il l tri-test non ha alcun valore diagnostico.

Lo sviluppo del bambino con sindrome di Down avviene con un certo ritardo, ma secondo le stesse tappe degli altri bambini; sia pure con tempi più lunghi, cammineranno, inizieranno a parlare, a correre, a giocare. Rimane invece comune a tutti un variabile grado di ritardo mentale che si manifesta anche nella difficoltà di linguaggio. Dal punto di vista riabilitativo non si tratta di compensare o recuperare una particolare funzione, quanto di organizzare un intervento educativo globale che favorisca la crescita e lo sviluppo del bambino in una interazione dinamica tra le sue potenzialità e l’ambiente circostante. È importante inoltre ricordare che ogni bambino è diverso dall’altro e necessita quindi di interventi che rispettino la propria individualità e i propri tempi. Dal punto di vista medico, vista una maggiore frequenza in tali bambini rispetto alla popolazione normale di problemi specialistici, in particolare malformazioni cardiache è opportuno prevedere col pediatra una serie di controlli di salute volti a prevenire o a correggere eventuali problemi aggiuntivi.
Per conoscere quali controlli di salute sono consigliati per i bambini e le persone con sindrome di Down scarica qui il Quaderno AIPD n. 17 “Alcune note informative sui controlli di salute per bambini con sindrome di Down”

La maggior parte dei bambini con sindrome di Down può raggiungere un buon livello di
autonomia personale, imparare a curare la propria persona, a cucinare, a uscire e fare acquisti da soli. Possono fare sport e frequentare gli amici, vanno a scuola e possono imparare a leggere e scrivere. I giovani e gli adulti con sindrome di Down possono apprendere un mestiere e impegnarsi in un lavoro svolgendolo in modo competente e produttivo. Ci sono lavoratori con sindrome di Down tra i bidelli, gli operai, i giardinieri e altre mansioni semplici. Stanno nascendo inoltre anche alcune prime esperienze in lavori più complessi come l’immissione dati in computer o altri impieghi in ufficio. Le persone con sindrome di Down sanno fare molte cose e ne possono imparare molte altre. Perché queste possibilità diventino realtà occorre che tutti imparino a conoscerli e ad avere fiducia nelle loro capacità.
Allegato
AIPDopuscoloQuandoNasceUnbambino.pdf
AIPDopuscoloQuandoNasceUnbambino_perOpSanitari.pdf

Stereotipo: sono tutti uguali (affettuosi, amanti della musica, biondi ecc.)
Realtà: non è così. Le uniche caratteristiche che hanno in comune sono un cromosoma in più rispetto agli altri (47 invece che 46), un deficit mentale e alcuni aspetti somatici. Per il resto, ogni persona con sindrome di Down è diversa dall’altra. Le differenze dipendono da fattori costituzionali, dal tipo di educazione ricevuta in famiglia e a scuola, dalla presenza o meno di servizi specifici sul territorio.

 

Stereotipo: sono sempre felici e contenti
Realtà: è lo stereotipo più comune. Come per chiunque altro, la serenità di un bambino, di un adolescente, di un adulto con sD è legata al suo carattere, all’ambiente e al clima familiari, alle sue attività sociali e dunque alla qualità della sua vita. Una persona con sD manifesta in modo molto esplicito le sue emozioni (felicità, tristezza, gratitudine, ostilità, tenerezza ecc.) e qualsiasi comportamento affettivo.

Stereotipo: esistono forme lievi e forme gravi di sindrome di Down
Realtà: il grado di ritardo mentale non dipende dal tipo di trisomia (anche se esiste una forma rarissima – “mosaicismo” – in cui il ritardo può, ma non sempre, essere lieve). Le differenze tra una persona con sindrome di Down e l’altra dipendono dai fattori di cui sopra.

Stereotipo: non vivono a lungo
Realtà: la durata della vita è aumentata enormemente. Oggi, grazie al progresso della medicina, l’80% delle persone con sD raggiunge i 55 anni e il 10% i 70 anni. Si stima che in un prossimo futuro la sopravvivenza raggiungerà quella della popolazione generale.

Stereotipo: possono eseguire solo lavori ripetitivi che non implichino responsabilità
Realtà: sono sempre più numerosi gli esempi di persone con sD che – grazie a un inserimento mirato – possono svolgere lavori su macchinari complicati, che possono risolvere problemi nuovi con creatività e mantenere il posto al di là di ogni precedente aspettativa.

Stereotipo: sono ipersessuati oppure eterni bambini privi di interessi sessuali
Realtà: gli adolescenti con sD non differiscono sostanzialmente dagli altri né per quel che riguarda l’età d’inizio della pubertà né l’anatomia degli organi sessuali. Provano desideri e hanno fantasie sessuali come gli altri loro coetanei. Vi sono ancora incertezze sulla capacità riproduttiva del maschio con sD. Sappiamo che la sua fertilità è molto ridotta, anche se si conosce il caso di un uomo con sD che ha avuto un figlio. Le donne sono perlopiù fertili.

Stereotipo: hanno genitori anziani
Realtà: attualmente il 75% circa dei neonati con sindrome di Down ha genitori sotto i 35 anni (il dato è legato alla differente distribuzione dei nati nella popolazione: nascono in assoluto più bambini da donne giovani che da donne anziane, quindi anche se il rischio di avere un bambino con sindrome di Down per una donna giovane è più basso, in numeri assoluti ci sono più bambini con sindrome di Down figli di coppie giovani).

Stereotipo: sono incapaci di avere rapporti interpersonali che possano portare ad amicizia, fidanzamenti o matrimoni.
Realtà: l’affettuosità delle persone con sindrome di Down è selettiva e intelligente. L’inserimento scolastico nel nostro paese ha permesso nell’età scolare un inserimento sociale soprattutto nell’età in cui le amicizie vengono almeno in parte gestite dai genitori. Tuttavia, l’adolescenza coincide con il periodo della vita di un giovane con sindrome di Down nel quale i compagni, gli amici e anche i fratelli cominciano ad allontanarsi e a includerlo sempre meno nelle loro attività: quando desidera (e avrebbe bisogno) di staccarsi dal suo nucleo familiare, la sia unica alternativa è di stare a casa o uscire solo con i genitori. In questa età è più facile che rapporti affettivi e amicizia possano nascere in condizioni “alla pari”, con interessi e capacità di comunicazioni simili. È stato verificato che tra persone con sD o problemi analoghi, possono nascere amicizie e fidanzamenti. Ci sono anche alcuni casi, anche se molto rari, di matrimonio in cui la coppia è in grado di vivere da sola in modo relativamente autonomo. Stare insieme tra pari non significa un ritorno all’emarginazione, ma avere la possibilità di avere amici con cui svolgere varie attività.

Stereotipo: non sanno di avere una disabilità intellettiva
Realtà: un bambino con sindrome di Down è in grado di capire fin da quando è piccolo la propria diversità rispetto ai compagni e ai fratelli. Il suo rapporto con la propria disabilità sarà tanto più sereno quanto più i genitori riusciranno ad affrontare con lui il discorso sui problemi connessi alla sindrome, sottolineando le sue capacità e i suoi limiti ed aiutandolo ad acquisire un senso di autostima.

Stereotipo: dovranno sempre vivere con i genitori e poi con i fratelli
Realtà: una persona con con sindrome di Down desidera fin dall’adolescenza rapporti alternativi a quelli esclusivi con i familiari. È necessario quindi potenziare le iniziative di aggregazione volte a favorire l’affermazione di una vita adulta relativamente autonoma dalla famiglia quali, ad esempio, comunità alloggio e case famiglia, ancora molto scarse in tutto il territorio nazionale.